L’allenatore del colbacco
L’allenatore anticonformista per eccellenza, l’allenatore che non amava la Juve, un uomo che lasciava il segno ogni volta che lo incontravi. “Eravamo partiti bene, poi una flessione. Nel frattempo era arrivato l’inverno e misi il colbacco. Subito iniziarono le vittorie. Lo tenni per ripararmi dal freddo e anche un po’ per scaramanzia. Ci giocavo“. Era così Gustavo Giagnoni, schietto e diretto. Il “Giagno” per gli amici, sardo, era nato infatti ad Olbia nel 1932 e ci ha lasciato all’improvviso nello scorso agosto all’età di 85 anni.
Legatissimo alle piazze calcistiche di Mantova e di Torino, sponda rigorosamente granata. Manteneva altresì un legame profondo con la sua terra, la Sardegna appunto, dove ritornava ogni anno per le vacanze.
Chi era Gustavo Giagnoni
Gustavo è stato molto di più di un calciatore prima e di un allenatore poi: era una persona autentica, alla quale non potevi non affezionarti. Trasmetteva empatia umana già al primo contatto, con quella vibrante naturalezza nel raccontare fatti e anedotti del mondo del pallone che solo le persone sincere hanno nelle loro corde. La sua è stata una carriera importante, sia da calciatore che da allenatore, con la fortificazione di un legame umano con le persone via via incontrate che andava sempre decisamente oltre il mero rapporto professionale. Da allenatore vogliamo ricordare le “sue” innumerevoli squadre: Mantova, Torino, Milan, Bologna, Roma, Pescara, Udinese, Perugia, Cagliari, Palermo e Cremonese. Capito che curriculum il Giagno?
Giagnoni cuore granata
Sulla panchina del Toro sedette per tre anni, dal 1971 al 1974. Suo il merito di aver lanciato Pulici, per esempio. Ma soprattutto di averlo fatto tornare in vetta alla Serie A, ventidue anni dopo la tragedia di Superga. E al primo derby della Mole, Causio a fine partita gli si avvicinò con un atteggiamento irridente. Il Barone –così veniva soprannominato lo juventino- mimando un applauso fra l’ironico e il beffardo si avvicinò alla panchina dei torinisti. Ma non riuscì nemmeno a terminare la sua bravata che Giagnoni, a cui non era sfuggita la bravata del bianconero, l’aveva già steso con un cazzotto! Diciamo di quelli che non ammettono repliche (nella foto si intravede lo zigomo di Causio colpito). Apriti cielo: polemiche a non finire! Con il Giagno che fu costretto in fretta e furia ad abbandonare Torino per rifugiarsi in Sardegna, alla lontana da quell’ambiente surriscaldato dal suo gesto, certamente sopra le righe. Qualche giorno dopo il ritorno a Torino, c’era pur sempre una squadra da allenare. E lì l’evento che non ti aspetti: un fiume di gente, in tremila circa, il popolo granata, assiepato in un giorno lavorativo ad inneggiare il nome del suo nuovo eroe, Gustavo Giagnoni da Olbia. La partita era andata male, ma quel pugno -segno di un gesto di ribellione verso i potenti di sempre- rimase impresso per anni nella memoria del popolo granata. “Me ne vergognai subito dopo, ma divenni un Mito” commentò qualche tempo dopo Giagnoni. Aggiungendo: “Appena la gente mi vide cominciò a inneggiare, a battere le mani. Mi sollevarono di peso. Erano in tremila in tripudio per me e solo perché avevo steso uno juventino. Mi commossi”.
Contro Sacchi
Pensiamo fra l’altro che questo suo aspetto caratteriale, il temperamento caldissimo, tipicamente sardo, unito ad una carica umana fuori dal comune, Giagnoni lo trasportava pure sul campo. Non per niente da calciatore il pressing ce l’aveva già nelle sue corde, lo mise in pratica sul campo senza che nessuno all’epoca glielo avesse insegnato. E certamente senza che fosse ancora comparso sulla scena un tale Arrigo da Fusignano a teorizzarlo come accorgimento tattico, di soffocamente dell’avversario. Non male a nostro avviso, tanto che Edmondo Fabbri si pentì amaramente di non averlo convocato in azzurro nel 1966, in occasione della disfatta conto la Corea.
A proposito di Sacchi, inventore del concetto di “ripartenza”, il Giagno gli dedicava strali all’insegna del sarcasmo. Come ci ricorda un caro amico di Giagnoni, Alberto Manfredi, storico gestore del Bar Spik’S di Mantova, con affetto ribattezzato dal Giagno “lo sporco juventino”, la frase polemica di Gustavo su Sacchi era la seguente:“le ripartenze si fanno alla stazione dei treni, sui campi di calcio si fanno contropiedi!”. Fine della discussione. Grazie di tutto e di cuore, Giagno.