Maldini sul derby: “Gattuso non è solo grinta, tra Icardi e Higuain scelgo…”

Maldini: “Dai Milan ora puoi tornare grande”

Paolo Maldini intervistato alla Gazzetta dello Sport in edicola oggi racconta la sua esperienza a Milan e augura alla squadra di Gattuso un campionato tutto in salita.

Maldini, una storia iniziata a… «Dieci anni. La prima volta che misi piede al Milan mi presentai con le scarpette nuove di zecca, comprate assieme a mia mamma. Mi chiesero che ruolo avessi, ma in realtà non ne avevo perché giocavo in oratorio. Era libero il posto da ala destra e lì mi piazzai. Mi presero subito, e subito ho cercato di capire come diventare amico del pallone».

Più che amicizia è stato amore folle: lei ha esordito in A a 16anni e 208 giorni. In rossonero nessuno è riuscito a fare prima. «Francamente quel giorno non credevo di essere in grado di giocare in A. C’è stata anche un po’ di incoscienza dell’allenatore (Liedholm, ndr). Una volta conclusa la partita, mi sono detto che potevo farcela».

Con un cognome pesante, però, da portare. «Una pressione che sentivo, sì. Però in tanti mi raccontavano il modo di giocare di papà, senza buttare via la palla, cercando il bel gesto tecnico. E la cosa mi attirava parecchio».

Da dirigente quale sarebbe un bel gesto tecnico? «Le dico cosa vorrei, nel mio ruolo. Voglio che il Milan torni protagonista in Italia e in Europa. Voglio restituire tradizione e senso di appartenenza, cosa su cui abbiamo iniziato a lavorare anche nelle giovanili. Credo nel fatto che si possa raggiungere un obiettivo fondamentale come la Champions. Che è imprescindibile e reputo un traguardo realistico».

Milan e l’Europa

E l’Europa League? Come ci si approccia il Milan? «La rispetteremo e la giocheremo al massimo, anche perché non l’abbiamo mai vinta».

Sono passati poco più di due mesi dal suo insediamento. Dopo una lunga ricerca, ha trovato quello che cercava? «Direi proprio di sì. Ho sempre pensato che sarebbe stato bello ricominciare col Milan e questa opportunità credo sia stata ciò che di più vicino c’è al momento perfetto. E’ tutto molto bello, rifarei la scelta. La strada imboccata è quella giusta».

Con Leonardo come compagno di viaggio. «Siamo molto diversi, direi complementari, e la trovo una combinazione fortunata. Di lui ho stima e ho grande fiducia. Per me Leo sotto certi aspetti è un punto di riferimento, come fu Galliani per lui. Con Leo dividiamo l’area sportiva, il mercato e indichiamo la linea progettuale. Ah, dividiamo pure l’ufficio ».

Galliani e il rapporto con il Milan

A proposito di Galliani: ci racconta una volta per tutte il vostro rapporto? «Semplice: chi sceglie i collaboratori ha idee chiare e io non rientravo nelle sue idee. I litigi sono normali in un grande club, ma abbiamo trascorso insieme anni molto intensi. Io non voglio accanto persone che mi diano sempre ragione».

Se citiamo Galliani, non possiamo non nominare Berlusconi. Ce lo descriva con una parola. «Visionario. Ci diceva che con lui saremmo diventati i più forti del mondo e noi ce la ridevamo sotto i baffi. Non capivamo cosa stava portando di nuovo».

L’ultima novità è che vuole portare il Monza in A in due anni. (risata in sala) «C’è poco da ridere, secondo me ce la fanno… La trovo un’operazione fantastica, una cosa bella e farò il tifo anche per loro. Finché non saranno in A ovviamente. La verità è che il calcio è una malattia da cui non guarisci più».

Gattuso un malato di Milan

Nell’elenco dei malati entra di diritto Gattuso ovviamente. «Con Rino molti si sono dovuti ricredere. Noi abbiamo toccato con mano la sua capacità di parlare alla squadra e le abilità tecnico tattiche. Ha un grande senso d’appartenenza, proprio ciò che vogliamo trasmettere. La sua immagine sta cambiando, ora nei comportamenti e nelle cose che dice ha fatto un salto di qualità enorme. Non a caso ha la nostra fiducia».

Andiamo a ritroso con gli allenatori. E’ un peccato che Sacchi non abbia allenato più a lungo? «Si. E’ arrivato al Milan al momento giusto, anche se è stato così maniacale da restare prigioniero della sua mentalità. Lo stress lo ha consumato, ma una parte della sua filosofia è ancora attuale. Su di lui ho ancora gli incubi, non scherzo…».

Ci faccia qualche altro nome. «Capello era sia manager che un grandissimo allenatore. Per me in realtà è iniziato tutto con Liedholm, è lui che mi ha fatto debuttare e insegnato a giocare. Ancelotti è stato un maestro nella gestione del gruppo, quel periodo me lo sono goduto».

Avversari e giocatori da pallone d’oro

I tre avversari più forti che ha incontrato? «Facciamo quattro. Maradona sopra tutti gli altri, Platini, Ronaldo e Totti fra gli italiani».

Messi o CR7? «Messi è qualcosa di unico, l’essenza del calcio. Negli ultimi quindici anni è stato il più forte in assoluto».

Anche lei rappresenta un discreto mito: il Milan ha pure ritirato il suo numero. «Bello, ma provo anche un po’ di vergogna. Però ne sono molto orgoglioso».

Ricordi rossoneri

In campo quanto era duro da 1 a 10? «Se occorreva, dieci. Io mi considero corretto, ma una volta incontrai Maradona a una premiazione, mandarono dei filmati e alla fine mi sentii di chiedergli scusa. Gli dissi: “Non ricordavo di averti picchiato così tanto…”. Insomma, ci sono situazioni particolari. Come quella volta con l’arbitro Moreno, in Nazionale. Io so un po’ di spagnolo e tirai fuori davvero il peggio di me».

Siamo certi che al suo primo derby da dirigente non capiterà. Sensazioni? «Pensavo di essere molto più emotivo allo stadio, invece l’emotivo è Leo e io più freddo. L’importante sarà giocare per vincere e comunque non perdere per restare agganciati a quel treno. Con l’Inter partiamo alla pari».

E se Higuain continua su questa strada… «Un campione vero. Ha alzato il livello della squadra non solo con i gol ma anche col suo modo di allenarsi. Era importante anche quando non segnava, ora la sua leadership è ancora più chiara».

Il Milan dei grandi giocatori da Ibra a Cutrone

A proposito di giocatori importanti nello spogliatoio. Se mai dovesse arrivare Ibra, non rischierebbe di essere una figura troppo ingombrante? «Io non credo ai giocatori ingombranti. Comunque si gestiscono con società forti, e noi lo siamo. Lui è stata un’idea estiva, ma chiaramente avere dei campioni in squadra fa piacere. E Zlatan ha personalità ed è un campione. In generale, una squadra che vuole puntare in alto deve avere giocatori di personalità: i nostri ce l’hanno, ma gente come Higuain e Ibrahimovic aiuta a tirare fuori le potenzialità altrui».

Le piace la fascia sul braccio di Romagnoli? «Sì, l’idea è quella di trasmettere certi valori, lui li ha e puntiamo molto su Alessio. Così come su Cutrone. La speranza per chi arriva dal nostro vivaio è sempre la stessa: che diventi una bandiera».

Un giudizio su Paquetà? «Veramente il mercato è chiuso. Ha talento, non è ancora formato al 100%, ma è un giocatore che può far sognare ».

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