Koulibaly: quando si parla troppo e non si fa un ca**o

“Sabato in Serie A si gioca”. Lo ha annunciato il presidente della Figc, Gabriele Gravina, commentando gli episodi di violenza e di razzismo in occasione di Inter-Napoli. “Non è più tempo di essere tolleranti. E’ il momento della tolleranza zero, non si può darla vinta ad alcuni scellerati” ha aggiunto il numero uno del calcio italiano.

Quante volte abbiamo sentito simili dichiarazioni dai predecessori di Gravina? Sicuramente non bastano le dita di una mano per conteggiarle tutte. Fu così dopo la morte di Raciti, fu così dopo la morte di Sandri e fu così durante i ripetuti scontri che avvengono fuori e dentro gli stadi italiani. Per questo riteniamo sia lecito chiedersi: c’è davvero voglia di cambiare? Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel suo Gattopardo, tratteggiò perfettamente lo spirito italiano: “Tutto cambia perché nulla cambi”.

Non vorremmo dunque assistere, nuovamente, alla chiusura delle curve per qualche giornata, alla promessa di pugni duri che, nello spazio di un amen, si trasformino in docili carezze materne. Siccome fatichiamo come sistema Paese a prendere una decisione – figurarsi a intraprendere una rivoluzione – avanziamo sommessamente un suggerimento: fare come a scuola quando si copiava dal migliore.

Dopo la strage dell’Hillsborough Stadium di Sheffield del 1989, disastro in cui morirono 96 persone, il primo ministro Margaret Thatcher diede madato di riformare il calcio inglese. Il primo passo fu il rapporto Taylor. Oltre a stabilire con precisione le cause della tragedia, il documento ridisegnò le norme di sicurezza negli stadi della Gran Bretagna. La Premier League che vediamo oggi, nacque così. Nacque da una piccola, grande rivoluzione: tutti gli impianti dovevano avere dei posti a sedere e tutti tifosi obbligatoriamente dovevano restare seduti. Quindi: copiamo passo dopo passo quello che ha permesso alla FA di realizzare il miglior campionato al mondo come introiti, spettatori, giocatori.

L’Italia è un paese dove abbiamo, tutti, talmente tanta cultura dello sport che ci siamo selettivamente, o volontariamente dimenticati di imparare ad avere una cultura sportiva. Il razzismo non è qualcosa di tollerabile, in qualsiasi ambito venga esercitato. Tutto ciò però rende lecito chiedersi se stiamo agendo nel modo giusto. Quello che è accaduto nei confronti di Kalidou Koulibaly non è qualcosa che può essere sminuito, o si può relegarne la colpa a quella minoranza di bestie ululanti presenti nei vari stadi Italiani. Quello che è accaduto a San Siro, cosi come in altri stadi prima è un fatto grave che va combattuto con forza. Chiudere lo stadio, impedire l’accesso ai tifosi per qualche partita può essere una soluzione? Forse no. Tra un paio di partite queste persone saranno di nuovo li, cosi come coloro che si sono macchiati di violenza negli scontri prima della partita. Saranno di nuovo li a poter esercitare, nuovamente, violenza.

In questa fiera delle vanità dove si tende troppo spesso a reagire con estrema indignazione sociale, rischiando di perdere di vista il vero problema. Un po’ come lo stolto che guarda il dito mentre il saggio indica la luna, cosi facciamo noi che per qualche ora, per qualche post tendiamo a vedere il mondo come vorremmo che fosse, per poi dimenticare tutto con il passare dei giorni. La punizione rivolta a San Siro è una punizione severa, molto più di quelle date in precedenza. Deve essere però un punto di inizio, non un atto limitato a se stesso.

Qualcuno dice che non sono atti di razzismo, altrimenti i fischi sarebbero giunti anche per i calciatori nerazzurri. Non è una scusante, è semplicemente razzismo selettivo, qualcosa che in natura esiste da migliaia di anni. Ciò a cui si deve prestare molta attenzione però è non usare episodi di questo tipo per giustificare tutto il contesto. Dobbiamo dividere, il calcio è una cosa, le barbarie sono un’altra. E’ vero che troppo spesso le due cose coincidono ma chiedere la sconfitta, dire che il Napoli ha perso per colpa di “Buu” razzisti significa, ancora una volta, distogliere gli sguardi dal vero problema.

In questa sorta di trasmigrazione del mondo esteriore, dove per dare un’apparenza di estrema giustizia vorremmo infliggere una punizione estrema non cambieremo mai le cose. E’ l’occasione giusta, è un punto zero, è forse davvero il momento giusto per poter mettere fine a queste barbarie, dentro e fuori dagli stadi. Bisogna averne voglia però, bisogna dar seguito alle azioni e alle decisioni prese perché altrimenti “Cambierà tutto per non cambiare nulla”.

Di Matteo Gardelli e Marco Ciogli

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